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Alla Boa Vista Ultramarathon Morro da Areia con Piergiorgio Scaramelli

"Oi Boa Vista nha terra sol ta nasce
um ta pensa na bo sol na poente
Ami na beira mar ta vista montes
E rochedos di nha terra
Um tem sodade di nha terrinha
Ausente sodade di nha mãe nha
Cretcheu ma nhas camaradas
Ho terrinha ingrata um ta amabu
Na nha corason ca bu fazem d'es
Pa bu ca frim nha coracon
Ca tem sodade mas profondo
Vista nha terrinha proxima
Pam ca podê pizal nha
Momente kum ta vistal
Ronzinha

Poesia in creolo cantata da Gabriela

Il "Selvaggio", al secolo Piergiorgio Scaramelli, questa volta racconta la "Boa Vista Ultramarathon Morro da Areia" nell'isola di Boa Vista (Capo Verde) di cui ha curato percorso ed appoggio logistico, per l'amico Corrado Zambonelli, presidente di Runners Planet di Roma che è anche il gruppo sportivo organizzatore di questa ultramaratona. Scaramelli e Zambonelli hanno portato una nota di colore e di novità, con uno sport inedito per Capo Verde, "punto d'incontro di due giganti: l'oceano e il deserto".

L'isola delle tartarughe, Boa Vista, è una delle dodici isole che formano l'arcipelago di Capo Verde. Boa Vista - la più vicina al continente africano, solo 450 chilometri dalle coste del Senegal - è stata per due giorni (29 e 30 ottobre 2000) teatro della prima edizione della "Boa Vista Ultramarathon Morro da Areia" di 150 chilometri in autosufficienza alimentare. L'isola, solitamente arida, si è presentata invece ai partecipanti con i vestiti "della festa" ovvero con altopiani e pianori verdi in cui però troneggiavano comunque le dune di fine sabbia bianca, come a ricordare che Boa Vista è e rimane, pur sempre, un'isola desertica. La pioggia "miracolosa" caduta nei giorni precedenti la gara ha rallegrato i cuori della popolazione che aveva un bisogno estremo di acqua per il fieno e le coltivazioni di cereali (la cachupa, piatto nazionale ed il più importante del giorno, è a base di mais, di fagioli, di patate e manioca con varianti di banane, pesce o qualche volta carne). La felicità della gente per questo evento naturale così raro qui, è stato condiviso anche dall'organizzazione della ultramaratona, pur se questo ha comportato disagi a non finire negli spostamenti dei mezzi da una zona all'altra dell'isola. L'acqua è vita e quindi sia la benvenuta: forse è stata proprio questa a portare fortuna alla prima edizione: "Corsa bagnata corsa fortunata" (detto adattato in mancanza della sposa!).

La gara ha vuto luogo dunque in questo incantevole scenario tropicale, con la natura che rinasce, ed ha riscosso il plauso dei partecipanti ed un successo in termini di pubblico insperato. Per due giorni la gente "bubista" (abitanti di Boa Vista) ha vissuto come sospesa nell'aria, partecipando con curiosità ed intensamente a questo evento sportivo inedito per Capo Verde, seguendo e stando vicina agli atleti tutti. L'apice della partecipazione e della felicità si è avuto quando si è sparsa per l'isola la voce che in testa alla corsa viaggiavano i quattro atleti capoverdiani presenti.

Bravi tutti i partecipanti a questa gara dura con percorso spaccagambe, il cui terreno con le sue frequenti variazioni, costringeva gli atleti ad un continuo cambio di ritmo. Percorso tecnico nella prima tappa e più dolce ma sempre impegnativo nella seconda. Gli sforzi compiuti dagli organizzatori sono stati premiati sia dai giudizi sostanzialmente positivi espressi dagli atleti, sia dalle numerose persone accorse in piazza Santa Isabel di Vila Sal Rei per festeggiare i maratoneti in un tripudio di applausi. Non si era mai assistito in Boa Vista ad un flusso così notevole di gente corsa in piazza per stare vicino a questi ragazzi un poco "doidos" o "locos" (matti) ma eccezionali; ragazzi che corrono nei deserti del mondo alla ricerca di quelle sensazioni che forse la società attuale non riesce a dare loro. Fuori dalle convenzioni e dagli schemi per almeno un periodo dell'anno alla "caccia" dei veri valori della vita, a contatto con ambienti e popolazioni povere ma fiere, bisognose ma dignitose nel non chiedere, cancellando per un attimo dalla mente quei valori falsi e vuoti che qualcuno tenta continuamente di far sembrare, nel mondo civile, gli unici per cui valga la pena di vivere.

In piazza uomini, donne e bambini venuti da tutta l'isola, con qualsiasi mezzo possibile, per far conoscere e far sentire la loro vera, solidale e sincera presenza, per stare uniti a coloro che hanno, ai loro ed ai nostri occhi, compiuto veramente una grandissima impresa. Tutto questo colore e calore umano respirabile da tutti - anche dagli organizzatori, che guardavano commossi queste scene di affetto - servirà da stimolo senz'altro per migliorare e rendere ancora più bella ed interessante la seconda edizione.

Sabato 28 ottobre

Tutto comincia quando atleti ed accompagnatori scendono dall'aereo nel piccolo aeroporto di Boa Vista. Ai loro occhi dall'alto era apparsa un'isola verde, scendendo è diventata ancora più verde. E pensare che dovevano venire a correre in un'isola desertica, arida, "cotta dal sole" e dove l'erba era un mero sogno irraggiungibile!

Trasferimento in albergo a Vila Sal Rei, sistemazione nelle camere, poi alla sera via a respirare la calda aria tropicale in un'atmosfera di autentica estasi, con il cielo stellato ed il rumore delle onde che si infrangono sugli scogli neri che si ergono a difensori della terraferma. L'indomani i primi contatti veri con l'ambiente e la popolazione "crioula" di Sal Rei, semplice e cordiale, sorridente e per nulla sorpresa, bensì compiaciuta per la presenza di questi corridori estremi provenienti dall'Europa. Un giro al Porto Velho, dove arrivano le barche con montagne di pesce fresco e di aragoste, per ammirare la costruzione delle piccole imbarcazioni di legno che solcheranno poi questo mare pescoso ma difficile, "um volta" (un giro) sul lungomare su cui si affacciano case basse in stile portoghese con a fianco quelle padronali del secolo scorso a due piani con balconcini e verande in legno, unite a quelle multicolore dei pescatori, "um passejo no" Largo Santa Isabel, che risuona delle voci calde delle donne che invitano a comprare i prodotti coltivati nei campi del verde Nord, con il suo mercatino di artigianato dell'Africa, con la Igreja catolica de Santa Isabel costruita nel 1857 e con la Escola de Musica che contribuisce a mantenere viva la tradizione musicale di Capo Verde.

Nel pomeriggio controlli amministrativi e sanitari presso la gelateria Creola che è anche sede del Boa Vista Marathon Club di cui Scaramelli è presidente. Il gruppo sportivo e la gelateria fungono da punto di riferimento per molti ragazzi, capoverdiani e non, nella pratica sportiva come maratone, corsi per iniziare a correre nel deserto, trekking, diving, attività affiancate da altre socioculturali legate in particolare alla sensibilizzazione della tutela e salvaguardia dell'ambiente.

Domenica 29 ottobre

I diciannove atleti, in rappresentanza di tre nazioni (Italia, Capo Verde e Germania) prendono il via alle 7 di domenica da Vila Sal Rei sotto l'incitamento di un moltitudine di persone festanti accorse per testimoniare le loro simpatie a questi atleti che praticano uno sport fino ad ora sconosciuto in Capo Verde. Gli atleti di corsa passano a fianco della Igreja de Nossa Senhora da Fatima e proseguono, attraverso un plateaux di sabbia, verso il relitto di Cabo Santa Maria, lungo la Costa Boa Esperanza, per andare poi verso le dune di Chave e verso quelle più accentuate del deserto di Viana. Gli atleti lasciano per un attimo le proprie orme, subito ricoperte dal vento, su questa sabbia fine, candida come neve, portata dagli alisei e derivata dalla erosione delle montagne e dai depositi marini di frammenti di conchiglie e simili. Altri affermano che vengono direttamente dal Sahara trasportate dall'Harmattan, un vento caldo e secco. Il silenzio ed il vento accompagnano, ancora su sabbia, i partecipanti verso Espinguera e Las Gatas, semplici nomi riportati sulla cartina topografica ed ora rappresentati da vecchie case e ruderi dimenticati, ma che un tempo erano piccoli e fervidi villaggi di pescatori in cui prosperavano la pesca e l'allevamento di capre, poi abbandonati per il prosciugamento graduale dei pozzi d'acqua dolce a seguito delle continue siccità. Scende il crepuscolo e gli atleti imboccano la pista lungo la costa nord-est che porta verso la Praia di Porto Ferriera e successivamente alla dura ascesa del Morro Negro (154 metri) attraverso un irto sentiero scavato dall'acqua su una parete nera di duro basalto. Salita mozzafiato, che gli atleti mai avrebbero immaginato di dover superare e che gli organizzatori hanno collocato lì, a sedici chilometri dall'arrivo della prima tappa, per metterli ancora di più alla prova, come se non fossero stati sufficienti i precedenti sessanta chilometri percorsi!

Il Morro Negro con il suo faro collocato nella sommità che segna il punto più vicino all'Africa, ha deciso la gara di una parte dei concorrenti. Chi non si è ritirato subito al faro lo ha fatto magari in seguito ma sempre in conseguenza di questa "rocha preta" (nera). Il "Farol do Morro Negro" era tanto temuto anche in passato dai naviganti: indica la via ai marinai, ma la roccia su cui poggia, a detta di esperti, è la causa dei naufragi avvenuti a centinaia in questa zona per il fenomeno del magnetismo che crea, pare, scarti di circa tre gradi sulla bussola.

Gli atleti che hanno superato indenni il Morro proseguono su pista in terra battuta verso sud, verso il mare e verso l'Oasi di Ponta d'Ervatao, unico punto verde in cui svettano le palme di cocco, in mezzo a pietraie nere e marroni ed a dune bianche come il latte. Sul davanti lo sciabordio del mare che si allunga nella piatta spiaggia su cui le tartarughe da giugno ad ottobre depongono le uova. È qui che, a pochi metri dal mare, è possibile assistere a questo evento grandioso: la deposizione e la schiusa della uova di tartaruga. Ed è poco distante da questo luogo che è stato allestito dagli organizzatori il campo notturno al termine della prima tappa. La durezza del percorso è testimoniata dall'arrivo dell'ultimo concorrente intorno alla mezzanotte dopo 17 ore e 44 minuti.

Solo tredici concorrenti sono giunti a tagliare il traguardo di Ponta d'Ervatao. Loro apprezzeranno le bellezze del luogo solo la mattina successiva al risveglio dopo una notte trascorsa a curarsi i piedi ed a cercare di recuperare le forze. Vedendo questi ragazzi alle prese con i "soliti problemi del deserto", il Selvaggio va con la mente alle molte gare in cui lui stesso ricorreva al classico "ago e filo" (rimedio prettamente italiano) per drenare le vesciche ai piedi o tagliava addirittura la parte anteriore delle scarpe per lenire i dolori derivanti dalle unghie martoriate, o agli ematomi risolti bucando con un ago o con il coltello l'unghia (il dolore diminuisce come per incanto!) e... "via di corsa nell'immensità del deserto, verso un nuovo orizzonte, verso la meta!"

Il primo giorno di gara ha visto arrivare sotto lo striscione, mano nella mano, il triestino Alessandro Centrone detto "Chico" ed il capoverdiano Gianluca Barros. Due giovani di diversa nazionalità e cultura ma uniti dalla medesima passione per uno sport duro di sacrifico che ripaga i protagonisti in maniera diversa, con premi che ognuno alza, in segno di vittoria, dentro se stesso: emozioni e piacevolezze interiori che vengono esternate da occhi luccicanti e grandi sorrisi.

Lunedì 30 ottobre

Il mattino successivo è la volta della seconda tappa, anch'essa di settantacinque chilometri. Partenza alle 8. Si corre su pista in terra battuta verso Curral Velho, villaggio di pescatori ormai abbandonato, ma un tempo fiorente centro di vita grazie alla pesca, all'allevamento di buoi e di capre ed allo sfruttamento della salina che si estende in prossimità del mare. Rimangono ora solo ruderi con parziali coperture fatte di rami di palme e reti da pesca consunte. Alcuni albatri ed una fregata sono i testimoni volanti del passaggio degli atleti verso l'interno ossia l'oasi di Fundo Vincente, ricca di frutta e verdura. Qui è posizionato il secondo bivacco dopo quello di Curral Velho, una sosta piacevole ed insperata per gli atleti, costretti a correre sotto un sole inclemente (39° gradi ad ottobre... non pochi!), un piccolo "paradiso" prima dell'inferno della pietraia nera del sentiero GianPier (il Selvaggio qui centra qualcosa? Mi sa tanto di si!) che mette ancora una volta alla prova la tenuta fisica degli atleti. Quattro di questi ritengono che il "paradiso" è preferibile e quindi decidono di fermarsi, dopo aver dato tutto. Encomiabili veramente: sono la tedesca Anke Molkenthin, già vincitrice di numerose ultramaratone, Roberto Bettega detto "Robertone", ultramaratoneta trentino specialista in orientamento, Luigi Algeri detto "Gigi" di Scandiano (Reggio Emilia), eclettico atleta, ultramaratoneta e dakariano per eccellenza (al suo attivo nove "Parigi/Dakar" in moto), ed il capoverdiano Israel detto "Lelo", alla sua prima esperienza in gare del genere e quindi veramente bravo.

Gli atleti che decidono per l'inferno, passando da una pista "panoramica e bollente" - costellata da rotondeggianti pietre nere in cui trovare uno spazio per poggiare un piede sicuro è come vincere alla lotteria - arrivano sulla costa occidentale dell'isola a Praia de Curralinho detta anche Praia (spiaggia) di Santa Monica per la similitudine con quella più famosa degli States. Qui il terzo bivacco, su una lunghissima distesa di sabbia bianca, baciata e anche "schiaffeggiata" dal mare blu e verde smeraldo, che aiutato dal vento sembra voler brindare al passaggio dei sette atleti ancora rimasti in gara, "spumeggiando" più che mai, e rendendo ancora più irreale un paesaggio che già di per sé sembra appartenere ad un altro mondo.

Attraverso dune e spiagge costellate da nere rocce laviche, gli atleti arrivano alla Praia de Varadinha (quarto bivacco). Varadinha e la sua grotta sul mare sono testimoni della resa del fortissimo atleta milanese "Aldo Rock" di Radio Dj al secolo Aldo Calandro, il quale dal grande condottiero che è, ha ceduto e deposto le armi solo quando era veramente all'estremo e le forze gli sono venute completamente meno.

La pista sabbiosa, confinante con invitanti campi coltivati a meloni e angurie, ha condotto i sei atleti rimasti al colorato paese di Poavaçao Velha, che è il primo insediamento dell'isola, sorto ai piedi del monte Rocha Estancia (354 metri). Villaggio pulito ed ordinato, con le facciate delle case colorate a tinte vivaci, con gente dai volti segnati dalla fatica del duro lavoro dei campi, che applaude ed incita al passaggio questi "moss o rapaz doidos com o mochila na costa" (...questi ragazzi pazzi con lo zaino in schiena).

Una "rue" (strada) pavimentata in ciottoli lavici porta all'abitato di Rabil; ora non esistono più problemi di orientamento, anche se si avvicina la notte, ma solo problemi di tenuta psicologica. Con frequenti saliscendi si passa vicino al Pico de Santo Antao (379 metri) per arrivare alla Ribeira ed Oasi di Rabil, dove è collocato il quinto ed ultimo bivacco.

Questo è l'epilogo di una gara intensa condotta al ritmo delle musiche e danze tipiche capoverdiane: ora con passo calmo e malinconico come nella "morna", ora con passo più rapido come nella "coladeira", ora con quello più rustico, affondando con forza i piedi come nel "funana" (suonato solo con la fisarmonica e l'accompagnamento fatto con il coltello strusciato su una barra metallica, in passato osteggiato e segregato dalle autorità coloniali portoghesi che lo ritenevano appunto un genere selvaggio e pericoloso) ed infine, in prossimità dell'arrivo come nel "batuque" (antico ballo degli schiavi, battiti ritmici di mani su panni di cotone con un cerchio di persone ed una ballerina in mezzo che mima l'atto sessuale).

La gente di Boa Vista si è stretta come non mai in un atto di amore attorno a questi "nuovi eroi" che hanno prodotto in loro questa sensazione di immensa felicità, ringraziandoli per avergli fatto dimenticare, in questi due giorni , le durezze del vivere quotidiano. I baci e gli abbracci si sono sprecati per il capoverdiano Gianluca Barros, giunto, come nella prima tappa, primo ex aequo mano nella mano, con il triestino Centrone, "Chico" per tutti. Un primo posto che premia due ragazzi veramente forti che hanno portato a termine una autentica impresa in poco più di venticinque ore. Hanno dimostrato di avere gambe ma soprattutto testa per una corsa dura. La popolazione ha acclamato a lungo il nuovo idolo Gianluca e gli altri ragazzi capoverdiani Nilton (giunto terzo), Oceano (giunto quinto) ed Israel (costretto al ritiro al centesimo chilometro per problemi ai piedi); affetto tributato in egual misura a tutti gli altri protagonisti, a questi "sopravvissuti" di questa "Boa Vista Ultramarathon Morro da Areia" che a detta di tutti si va a collocare fra le gare più impegnative oggi esistenti nel panorama mondiale delle gare estreme.

Un plauso, per la tenuta fisica e mentale, va a Giulia Giannini, ultramaratoneta romana, giunta al sesto posto assoluto e prima delle donne dopo aver sbagliato direzione nella seconda frazione, percorrendo quindi diversi chilometri in più per rientrare in gara, ed aver corso praticamente da sola gli ultimi cinquanta chilometri.

Ora, seduto sotto l'ombra di una vecchia acacia, albero simbolo per eccellenza del continente africano, ai piedi delle bianche dune dell'Estoril, con lo sguardo rivolto all'orizzonte sulle acque blue intenso dell'oceano, il Selvaggio rivive la corsa in ogni sua parte, con le immagini delle facce ora sorridenti, ora sofferenti e provate dalla fatica dei protagonisti: Alessandro (Chico), Gianluca, Nilton, Massimo, Oceano, Giulia, Aldo, Anke, Israel, "Robertone", Gigi, Lorenzo "Enzo per gli amici" (ultramaratoneta trentino di Riva del Garda forte e simpatico), Riccardo (avvocato romano con la passione per le grandi imprese), Giacomo (romano che per amore delle corse nel deserto si va tatuando ogni parte del corpo con i simboli rappresentativi delle ultramaratone a cui partecipa), Sabina (inossidabile e coraggiosa ultramaratoneta) e Paola (intrepida romana) entrambe da elogiare fortemente perché alla loro prima esperienza desertica, Renzo (indistruttibile ed incredibile uomo di azione laziale), Roberto (il "poeta romano" che corre con la immancabile polo a strisce orizzontali rosse e bianche, compagna di tantissime imprese), Ferdinando "Ferdi" (campione triestino, conosciuto nel 1990 in Marocco, che incitava gli amici su per le dune con un forte "Ciò muli!"). Li ringrazia tutti per la simpatia e l'amicizia dimostrata nei confronti suoi e di Corrado, scusandosi per alcune incomprensioni che possono essere eventualmente nate, ma che in situazioni estreme crede che siano normali, e si augura nel contempo di rivederli di nuovo per la seconda edizione, o in una qualsiasi altra parte del mondo ma sempre di corsa e con lo stesso amore per lo sport e per i deserti che li ha animati fino ad oggi.

Rivede anche coloro che con grande solidarietà hanno dato una notevole mano all'organizzazione prodigandosi in un lavoro a volte arduo e faticoso: Maurizio, Massimo, Marco, Paolo, Andrea, Alessandro, Rosy, Atila, Nicola, Raul, Roby, Nicoletta, Luca, Massimo, Santinha, Giuliano, Marisa, Monica, Lorenza, Giordana, Gao, Terry ed il suo amico, tutti i ragazzi del Projeto Natura 2000, gli spagnoli Pedro, Nuria, Louis, il capoverdiano Juliao, e tanti altri ragazzi e ragazze con cui si scusa ma di cui non ricorda i nomi.

Rilegge i nomi di coloro che hanno contribuito al successo di questa ultramaratona tropicale con aiuti economici, di mezzi e materiali: I Viaggi di Atlantide, Ottica Candino, Gestoil, Il Rifugio, L'Albero della Ceramica, Emme Promotion, Camera Municipal de Boa Vista, Cabo Gesat, Profeto Natura 2000, Marine Club, Esplanada 5 de Julho, Cabo Padana, Impresa Alavanca, Cab Auto, Pub Cabana, Bill Mister America, Te.Ma, Gelateria Creola, Submarine Dive Center e Boa Vista Marathon Club.

Il pensiero vola alla Rtc Radio Televisione Capo Verdiana che ringrazia per la disponibilità, al giornalista Santos Spencer ed al cameraman Paulo che ringrazia ugualmente per l'amicizia dimostrata, encomiabili entrambi per aver seguito i protagonisti passo passo e per alcuni tratti di corsa in questa esperienza nel deserto "bubista". Un grazie a Runners Planet di Roma ed al suo staff. Un ringraziamento all'amico Corrado Zambonelli, "Iron Man" per gli amici, con il quale il Selvaggio ha condiviso le fatiche e le gioie di questa esperienza che si è rivelata un successo, allontanando così dalla mente tutte le remore ed i timori presenti al momento della partenza, le stesse che presumibilmente attanagliano lo stomaco degli attori nel momento di salire sul palcoscenico. Palcoscenico e pubblico che in questo caso si sono rivelati meravigliosi ed è per questo che un grazie veramente sentito il Selvaggio lo rivolge anche all'Isola di Boa Vista ed alla sua popolazione!

Un caldo saluto da Boa Vista. Até mais logo. E che il deserto sia con noi!


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