Alla Sahara Marathon con Claudio Bottoni
Con sette studenti della scuola ITI Copernico-Carpeggiani di Ferrara dove io insegno, partiamo dall'aeroporto di Rimini spinti dalla solidarietà e per conoscere dal vivo le difficoltà e le avversità in cui il popolo Saharawi è costretto ormai da trent'anni. Siamo la delegazione più giovane presente e, per la prima volta, una scuola, la nostra, va oltre ai tradizionali schemi dell'insegnamento, convinta che la solidarietà sia alla base della formazione. È il 24 febbraio 2006.
Sono già trascorsi quattro giorni dal nostro arrivo ed oggi per me è un grande giorno, alle 5 di mattina suona la sveglia per essere all'appuntamento stabilito al "Protocollo" (equivale al nostro ufficio comunale). Lascio per la prima volta i miei quattro studenti da soli nella stanza della casetta di fango e con Sabrina (compagna di stanza degli altri tre studenti) podista di Trento ci rechiamo alla partenza del pullman che ci porterà dopo un viaggio di due ore a El Aalun, campo dove partirà la maratona. I ragazzi che parteciperanno alla corsa su distanze minori (cinque e dieci chilometri) dormiranno qualche ora in più e partiranno più tardi.
Arrivati a El Aalun l'accoglienza è fantastica e commovente con tante bellissime bambine che intonano canti della loro terra inneggianti l'indipendenza e la libertà. Noi maratoneti ci prepariamo facendo le ultime operazioni per l'inizio della corsa prevista alle 9,30: si vede nello sguardo e si sente nel tono delle parole la tensione che precede quest'avventura così faticosa ma così affascinante.
L'inizio della gara è subito segnato dall'atleta del Saharawi che va via spedito, dietro si formano diversi gruppetti. Io resto indeciso sul da farsi frenato da un ginocchio che fa i capricci e che già nell'ultimo mese mi aveva dato problemi. Si corre nel deserto, il sole è già alto, la corsa sarà lunga e dura, siamo solo all'inizio, mi dico: "Claudio hai 49 anni l'ultima maratona corsa quattordici anni fa".
Intanto la falcata più rigida, gli appoggi più pesanti e il ritmo più lento ma l'entusiasmo no, non è scemato nel tempo, correre mi è sempre piaciuto e farlo in questa terra ha un valore speciale dove la gente lacerata nei propri diritti umani lotta giorno per giorno per la propria dignità libertà e indipendenza. Con questa corsa esprimiamo la nostra solidarietà e la nostra presenza è, per il popolo del Saharawi, un grande contributo.
Emozioni ed entusiasmo prendono il sopravvento. Rompo gli indugi e mi porto presto nel gruppo di testa (l'atleta del Saharawi sempre avanti), mi rendo conto che nel nostro gruppetto di 7-8 atleti sono l'unico italiano. Il terreno è pietroso con zone di sabbia, i punti di ristoro sono frequenti (circa ogni tre chilometri) ed a uno di questi sono il più veloce e resto da solo. Dietro il gruppetto si assottiglia, restano minacciosi i due spagnoli: io da solo e loro circa a cento metri.
Ci si avvicina al campo di Auserd (dove circa mezz'ora prima era partita la mezza maratona) con le prime case in mattoni di fango e tende come Smara, come Dacla, i nomi dei campi in cui abbiamo soggiornato e che sono i nomi delle città del Sahara occidentale da dove questo popolo è stato costretto a fuggire.
Siamo accolti da tante persone, i bambini ti corrono accanto e ti parlano, ti incitano e applaudono. A metà percorso, nel centro di Auserd, è una vera e propria ovazione, tanto da far venire i brividi: sono secondo a un minuto e trenta dall'atleta del Saharawi ma gli spagnoli sono lì dietro; lì sento, mi controllano e qui affiorano i primi dolori alle gambe. Mamma mia è troppo presto, molti chilometri da percorrere, dal ventunesimo e per dieci chilometri si presentano saliscendi dovuti a dune di sabbia. Al venticinquesimo mi raggiungono gli spagnoli, che sento parlare fra loro, poi si parla assieme, ci si scambia l'acqua con gesti di amicizia che spesso accomuna e solidarizza chi affronta un'avventura del genere.
Insieme raggiungiamo e superiamo gli ultimi dei partecipanti della mezza maratona che camminano o corrono a passo turistico, ma soprattutto prima del trentesimo chilometro raggiungiamo e superiamo l'atleta del Saharawi che dà segni di cedimento (arriverà quinto). Le gambe sono sempre più pesanti, gli spagnoli vanno spediti ed al trentaduesimo chilometro devo abbandonare la speranza di vittoria. Non mi è possibile tenerli. Devo gestire la fatica per difendere un onorevole, per me importante terzo posto, ma soprattutto ci sono ancora dieci chilometri da percorrere!
Saliscendi e dune di sabbia sono superati ma il terreno con pietre e sabbia e il vento rendono dura la mia corsa al trentasettesimo chilometro, vero "muro" per i maratoneti, per me diventa una vera e propria montagna da scalare ed il ritmo è sempre più lento. Penso che mi raggiungano ma poi scopro che tanti hanno pagato lo scotto della durezza del deserto. A due chilometri dal termine raggiungo Elia ed Irene impegnati nella dieci chilometri; rispondo con un cenno al loro caloroso saluto, le centinaia di metri che mi separano dal traguardo sembrano una distanza infinita rispetto ai tanti chilometri percorsi in precedenza.
Finalmente l'arrivo, l'intervista i complimenti dei miei studenti, degli italiani, del popolo Saharawi, l'entusiasmo della famiglia che ci ospita, la premiazione serale e la soddisfazione personale che chi ha passione del podismo può capire (sono sempre 42,195 chilometri).
Queste sono le emozioni vissute di un progetto sportivo dentro ad un progetto ben più importante: l'aver portato sette studenti nel Saharawi per convivere con loro un'esperienza umana speciale di solidarietà vivendo otto giorni a contatto diretto nelle difficili condizioni in cui i Saharawi sono da tre decenni; un popolo che è stato costretto all'esilio e che ha dovuto affrontare una dura lotta per la propria indipendenza nelle più avverse condizioni fisiche e materiali senza mai dimenticare il proprio patrimonio culturale.
Tanti sono i momenti ed i luoghi da ricordare: dal campo di Smara con l'inaugurazione della prima pietra posata per l'ospedale grazie al contributo delle associazioni italiane, la visita al museo nazionale, al suggestivo mercato, alla casa scuola-collegio chiamato 27 Febbraio. Le celebrazioni per il trentesimo anniversario della Repubblica Araba Saharwi Democratica con numerosi gruppi di donne e soprattutto bambini (più di mille) che si avvicendano nel corteo con gruppi di variopinti colori a rappresentare la bandiera, l'amore, l'amicizia, l'indipendenza. La corsa dei bambini (di cui tanti a piedi nudi), con più di mille partecipanti in gara negli 800 metri; la visita al centro di Castro, ex pastore che, dopo aver letto tanti libri, ha costruito da dieci anni (con i contributi di solidarietà) un centro di recupero per handicap con dieci educatrici per più di cento bambini e dove noi con canti e balli abbiamo animato la mattinata; la visita delle case disastrate per l'alluvione di venti giorni prima. Poi di seguito l'accoglienza della famiglia che ci ospitava con Velfa, una bambina di due anni e sette mesi, che al mattino ci svegliava entrando dentro al nostro sacco a pelo, Anna Rita, Zeina, Mohamed, Maria la padrona di casa con il suo rito del tè (anzi tre volte il tè!).
Dal campo di Dacla (a centoquaranta chilometri da Smara) la visita in ospedale con tutti i suoi problemi e l'incontro con un giovane medico che dopo aver studiato dieci anni a Cuba era tornato qui per amore della sua gente; la visita al suggestivo mercato locale, alle scuole con lo spettacolo dei giocolieri di Rimini, la visita alla scuola delle donne (una cooperativa di lavoro); all'orto con serre nel deserto reso possibile da una falda idrica e realizzata grazie al contributo dato dagli spagnoli. La partita di calcio emulando Italia-Saharawi quando sul 2 a 1 per noi ci siamo trovati in campo più di venti ragazzi che volevano giocare; la fantastica notte nel deserto dopo musica e canzoni abbiamo "dormito" a cielo aperto. L'ultima visita al Museo delle armi dove un ufficiale ci ha spiegato del grande muro di duemila chilometri creato dal Marocco con le tante mine disseminate.
Tante sono le persone ancora da ricordare: l'umiltà di Marian, la signora che ci ospitava al nostro congedo voleva scusarsi della loro condizione, del suo bambino colmo di affetto per la sorellina cieca e tetraplegica; Salec, la guida, che ci ha accompagnato per tutto il nostro soggiorno; Omar, grande personaggio ed autorità locale che ha più volte spiegato la situazione politica del suo paese e del sogno di poter un giorno tornare nella loro terra, della loro lotta pacifica, della necessità di arrivare ad un referendum democratico.
Sono tante le immagini che accompagnano questo soggiorno nel Saharawi e voglio ricordare per ultimi (ma non per importanza) i miei compagni di viaggio, il nostro sentirci importanti perché coperti di elogi dalla gente che trovava questa esperienza unica ed irripetibile, all'avanguardia per un istituto scolastico perché tocca con mano un paese con problemi a noi poco conosciuti; l'importanza della nostra presenza ed a sua volta il nostro vivere quotidiano, le nostre risate a tavola dove le ragazze erano in dieta perenne, i momenti positivi che andavano a superare ed a sdrammatizzare un primo e difficile impatto rendendo il tutto più semplice e adattabile, la bella sensazione di essere stato bene con loro e per questi motivi e tanti altri ancora, il mio rapporto con Andrea B., Elia M., Elisa S., Ilaria C., Irene G., Silvia B., Silvia S., resterà speciale.
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