Pubblicità


 

 

 

 

Alla Ultra Mirage El Djerid 100km con Indro Neri

Insomma anche questa è fatta. Dopo aver calcato in lungo e in largo (soprattutto in largo) le strade dei quattro angoli del globo, ho finalmente aggiunto alle mie esperienze podistiche anche quella di correre nel deserto del Sahara. Va subito detto che non si sta parlando del Sahara da cartolina, quello aperto, con dune immense disegnate dal vento, che nel mio immaginario avventuroso sono quelle costantemente attraversate da mercenari della Legione Straniera negli anni venti. Quello del sud della Tunisia è invece, almeno nella zona di gara, un deserto racchiuso tra colline e montagne, fatto di piste di terra battuta e in gran parte - questo si - da sabbia dorata sulla quale è difficile camminare, figuriamoci correre. E come nella corsa nel fango di qualche anno fa, più si pesa, più si affonda.

Erano mesi che mi preparavo per questa avventura, ed allenandomi nel caldo estivo di Firenze già mi immaginavo romanticamente di correre in beata solitudine attraverso ampie distese sabbiose, con il solo rumore dei miei passi a farmi compagnia. Un bel sogno da neofita. A dire il vero la beata solitudine si è avverata quasi subito.

La "Ultra Mirage El Djerid 100K" ha preso il via da Mos Espa, il set cinematografico di uno degli episodi di "Guerre Stellari" (ora diventata principale attrazione turistica della zona assieme all'esteso palmeto che caratterizza Tozeur e dintorni) e nel giro di trecento metri mi sono ritrovato immediatamente in ultima posizione, come consuetudine, mentre il resto dei partecipanti si allontanava ad ogni passo per poi scomparire all'orizzonte. E dire che io avevo in programma di fermarmi alla mezza maratona, mentre gli altri partivano per affrontare tutti e cento i chilometri di gara (non che non abbia mai fatto cento chilometri, ma al momento ho solo la testa, non ho le gambe per distanze maggiori).

Solo con il rumore dei miei passi? Niente affatto, correre nel deserto è più rumoroso di quanto uno possa credere: senti il sibilare del vento che soffia e ti asciuga il sudore, senti lo sciaguattare dei due litri di acqua che ti porti dietro (obbligatoriamente) nello zainetto assieme al fastidioso rumore delle confezioni di barrette energetiche ai datteri che uno degli sponsor ha regalato a tutti i concorrenti e che ad un certo punto mangi per disperazione. E le mosche. Decine di mosche ti raggiungono spietatamente ogniqualvolta rallenti, si posano sotto la visiera del cappellino, ti ronzano intorno... All'improvviso l'immagine idillica del dromedario stagliato sulla duna perde smalto tutto insieme, se ti fermi a calcolare quanti di questi insetti sicuramente lo circondano.

Passi, folate, sciaguattii, scricchiolii, ronzii... niente di tutto questo però ti prepara ad essere sorpassato da un'auto fuoristrada lanciatissima in pieno deserto. Che sta per succedere qualcosa te ne accorgi cinque minuti prima, notando grossi nuvoloni di polvere in lontananza. Man mano che si avvicina si distingue la sagoma dell'auto, si vede la scia di sabbia che solleva e si trascina dietro. Poi è un attimo: l'auto sfreccia a centotrenta all'ora sobbalzando in aperto deserto (suppongo per il divertimento dei turisti a bordo) a qualche decina di metri dalla pista che sto percorrendo a piedi, si porta dietro oltre che al rumore del motore a manetta una vera e propria tempesta di sabbia con un fronte che si estende orizzontalmente e che mi investe in pieno, riducendo la visibilità a zero e costringendomi a tenere bocca e occhi ben chiusi, abbassare la testa e proteggermi la faccia con la maglietta. Certo, non sono le esalazioni dei tubi di scappamento delle auto in coda sui viali, ma proprio non mi aspettavo di dovermi lamentare del traffico anche qui.

Che poi lo so bene come ci si trova a sfrecciare a centotrenta chilometri nel deserto su un'auto fuoristrada. È quello che ho fatto il giorno prima della gara, quando da giornalista, ho accompagnato gli organizzatori nell'ultimo controllo del percorso. Un tracciato stupendo, segnalato ogni centinaio di metri da sacchi arancioni riempiti di sabbia che indicavano la direzione da seguire in quella landa sconfinata.

Ma torniamo alla gara. I primi dieci chilometri di corsa sono stati piacevolissimi. La terra battuta offre un supporto perfetto per correre senza pensieri, godendosi lo spettacolo della natura che ti circonda: le piste che sembrano infinite, gli ampi spazi aperti delimitati solo da piccole dune di sabbia o colline, le varie gradazioni del terreno, tutte del medesimo colore.

È solo quando la pista finisce e la sabbia incomincia che si viene riportati alla dura realtà: non si tratterà di una passeggiata. Infatti, i piedi cominciano ad affondare rendendo ogni passo più difficile, la sabbia entra nelle scarpe, i bassi cespugli secchi e spinosi che a tratti punteggiano questa parte di deserto graffiano le caviglie. E le mosche. Mi rendo conto che il dromedario sono io.

È stata comunque un'esperienza indimenticabile, completamente appagante, alimentata dalla consapevolezza di sentirsi autosufficienti in un ambiente tecnicamente ostile, mista alla volontà di andare avanti "finché i piedi ci portano" (per citare Bauer, anche se lì il deserto era quello siberiano). La mia avventura si conclude dopo tre ore e mezzo, niente al confronto di chi invece ha tirato a diritto. È una piccola vittoria personale, visto che il cancello al primo punto di controllo chiudeva dopo quattro ore. Qui vengo rifocillato, mi nebulizzano acqua addosso che toglie polvere e calura, e aspetto sotto la tenda il passaggio dell'auto-scopa dell'organizzazione per rientrare al luogo di partenza. Penso al resto del tracciato. Vengo a sapere che il primo è già transitato dal cinquantesimo chilometro. Va al doppio della mia velocità ma pesa anche la metà mi dico. Chissà se riesce a battere in velocità anche le mosche...

Rientro a Mos Espa in tempo per assistere all'arrivo del vincitore, che tagliato il traguardo viene portato a braccia dall'organizzatore direttamente nella tenda medica per una flebo.

I ritirati saranno complessivamente un terzo dei partenti, ma gli arrivati sprizzano gioia da tutti i pori, soprattutto quelli giunti dopo il calar del sole, che hanno dovuto affrontare lunghi tratti di sabbia soffice al buio, contando solo sulla propria lampada frontale e seguendo la luce "di posizione" che il concorrente davanti doveva (obbligatoriamente) avere sul retro del proprio zaino.

La data della prossima edizione è già stata resa nota. Ho a malapena disfatto il mio zainetto di sopravvivenza, ma so già cosa ci aggiungerò. Uno zampirone.


 I nostri resoconti dal deserto - Marathon des Sables ma non solo. Boa Vista Ultramarathon, Sahara Marathon, TransMauritienne e molti altri appuntamenti sportivi su sabbia raccontati dagli intrepidi partecipanti.



Since September 1976 - © Aerostato, Seattle - All Rights Reserved.