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Alla Ultra Mirage El Djerid 100km con Patrizio Lombardini

Ricordo ancora qualche anno fa quando guardavo con occhi sognanti donne e uomini straordinari impegnati in ultramaratone estreme nel deserto, pensando a quanto anche io avrei voluto essere lì, essere uno di loro.

Ore 6:55 - Touzer (Tunisia), Sahara Orientale
Cinque minuti alla partenza della "Ultra Mirage El Djerid 100km"

Non posso riternermi un veterano delle ultramaratone ma in fondo un po' di esperienza posso dire di averla accumulata. Conosco molto bene il senso di fatica, il dolore ai piedi e ad ogni muscolo del corpo, ed il sonno che ti pervadono tutti insieme dopo più di cento chilometri ed almeno venti ore di gara... ma. Eh si c'è un "ma": la mia esperienza è in montagna, un luogo dove mi sento a casa e dove ho trascorso tutta la mia vita, mentre qui siamo nel deserto e come sempre quello che non conosciamo ci fa paura, soprattutto quando si parla di portare il proprio corpo all'estremo in un ambiente nuovo dove le incognite sono tante. Ciò detto per un motivo che ancora non riesco a spiegarmi tutta la tensione dei giorni precedenti sembra essere sparita e, dopo una notte stranamente serena, il mio corpo e la mia mente sono completamente rilassati.

Ore 6:59 - Touzer (Tunisia), Sahara Orientale.
Un minuto alla partenza della "Ultra Mirage El Djerid 100km"

Il suono di un daburka riempie il deserto e senza quasi rendermene conto mi ritrovo ad oltrepassare la linea di partenza. In quel momento mi rendo conto di essere uno di loro, sto correndo una ultramaratona nel deserto, cento chilometri no-stop in uno dei luoghi più estremi e più affascinanti su questo pianeta. Il sogno è diventato realtà.

Il gruppo di italiani è abbastanza folto e, tra uno scambio di battute e racconti di gare tra le montagne di casa, i primi chilometri passano senza fatica. Corpo e mente continuano a rispondere alla perfezione e tutto sembra essere più facile del previsto. Una cosa però l'ho imparata: le ultramaratone non sono facili, mai!

Appena prima del primo check point mi si affianca un ragazzo, Giuseppe. Iniziamo a chiacchierare e scopro con grande piacere che lui è un veterano di gare nel deserto e non solo. Arriviamo insieme al check point del diciannovesimo chilometri, il tempo di riempire le borracce e stiamo di nuovo correndo.

Uno dei regali più incredibili che ho sempre ricevuto da queste gare è stato conoscere persone straordinarie, con tante storie da raccontare e soprattutto disposte a condividere ed insegnare.

Corriamo piano, Giuseppe mi ricorda di bere e mi offre da mangiare dei taralli buonissimi, ed è così che la pista battuta lascia spazio alla regina del deserto... la sabbia. E se per ogni regina c'è un re, il re qui si chiama sole. Così in questo regno dove a regnare sono sabbia e sole, Giuseppe ed io diventiamo amici, amici del deserto.

Il caldo inizia ad essere insopportabile e correre nella sabbia diventa sempre più difficile. Giuseppe ha un passo veloce e per non perderlo devo impegnarmi, ma sono contento, sono sicuro che anche grazie a lui riuscirò a fare qualcosa di straordinario, almeno per me!

Trentaquattresimo chilometro, secondo check point. Mi sento bene! Il mio nuovo amico inizia ad accusare qualche problema di digestione ed è qui che vieni fuori l'ultramaratoneta. Nonostante Giuseppe non stia evidentemente bene, il suo passo non cede. Dimostrando forza fisica e mentale, Giuseppe non molla e sotto un sole cocente arriviamo al terzo check point dopo più di sette ore di gara. Siamo al cinquantesimo chilometro.

Riconosco Paolo, un ragazzo sardo con il quale avevo fatto due chiacchiere il giorno prima della gara. Anche lui, che ci precedeva di più di mezz'ora, si è dovuto fermare per riprendersi da problemi di stomaco. Ci salutiamo e decidiamo di ripartire insieme. Giuseppe, Paolo ed io iniziamo la seconda metà di gara sotto un sole che nonostante siano ormai le quattro del pomeriggio non sembra smettere di scaldare noi e la sua regina.

Dei dromedari selvatici si stagliano all'orizzonte, la fatica inizia ad essere tanta e piedi e gambe iniziano a fare male, ma la strada da compiere è ancora lunga, molto lunga. Così chilometro dopo chilometro passiamo i successivi check point fino a quando, finalmente, poco dopo il sessantacinquesimo chilometro il sole decide di salutarci.

È così che ci troviamo completamente al buio, sovrastati da uno degli spettacoli più belli al quale abbia mai avuto la fortuna di assistere. Il cielo pieno di stelle forma una volta perfetta sopra le nostre teste. Spegnamo le lampade frontali per pochi secondi per godere di questo spettacolo, ma siamo pur sempre in una gara ed il nostro obbiettivo è arrivare in fondo nel più breve tempo possibile; così ripartiamo subito veloci, o almeno ci proviamo!

Sembriamo amici di vecchia data, battute, prese in giro, sono felice. Durante queste gare provo sempre uno stato di perfezione, mi sento esattamente dove devo essere e completamente in pace, nonostante la sofferenza e la fatica. Credo che il motivo risieda nel fatto che richiamino la vera natura dell'essere umano.

Nonostante la notte il caldo continua a farsi sentire. Giuseppe ha un passo incredibile, così Paolo ed io decidiamo di correre per prendere un po' di vantaggio per poi farci recuperare riposando un po' le gambe. I chilometri sembrano sempre più interminabili e sebbene io sia consapevole non sia la cosa giusta da fare, continuo a guardare il mio orologio.

Ultimi cinque chilometri, ci siamo quasi! Comincio ad assaporare il traguardo e come sempre accade trovo energie che non credevo di avere, riesco ancora a correre. Le luci si fanno sempre più vicine, siamo felici, orgogliosi, gridiamo "Ale! Ale! Ale!" per farci sentire da chi ci aspetta. Ultimo chilometro, corriamo, e cosi diciassette ore e ventuno minuti dopo alziamo le braccia al cielo dove tutto è iniziato. Sono pervaso dalle emozioni! Chiara, la mia ragazza, che mi ha aspettato per ore, corre ad abbracciarmi e scoppia in un pianto liberatorio. Queste gare sono fatte anche dalle persone che ci aspettano, che si preoccupano e che attendono per ore il nostro arrivo e che se possibile ci assistono ai check point.

Ci sdraiamo sotto una tenda, esausti ma consapevoli di aver fatto qualcosa di straordinario. Ritroviamo Gaetano, un altro ragazzo italiano arrivato pochi minuti prima di noi e, nonostante la stanchezza sia tanta, continuiamo a ridere e scherzare come vecchi amici anche se in realtà ci conosciamo solo da poche ore.

L'ultramaratona ti dà il doppio di quello che ti toglie, e questa volta anche di più!


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